Nella tradizione popolare gli ultimi tre giorni di gennaio, 29-30-31, sono detti i “giorni della merla”. Il nome deriverebbe da una leggenda antica. Come ogni leggenda esistono diverse varianti ma io voglio proporre la più accreditata.
L’invidioso e vendicativo Gennaio –in origine di 28 giorni- perseguitava una povera merla e ogni anno trovava divertente aspettare che la merla uscisse dal nido per cercare cibo, e ricoprire la terra di freddo e gelo. La merla, stanca di questo vile comportamento, pensò bene, per una volta, a fine dicembre, di fare provviste per tutto il mese successivo, così da ritirarsi poi nel suo nido, in attesa che Gennaio finisse. Il 28 la merla, credendo di aver ingannato Gennaio, uscì dal nascondiglio e iniziò a cinguettare felice di aver beffato il mese dispettoso. L'offesa arrecata fu tale che il primo mese dell'anno chiese tre giorni in prestito a Febbraio e li utilizzò per scatenare bufere di neve, vento gelido e pioggia. La povera merla e i suoi pulcini, bianchi a simboleggiar il loro candore, si rifugiarono dentro un comignolo, dal quale emersero il 1° febbraio, tutti neri a causa della fuliggine. Così da quel giorno tutti i merli furono neri e gli ultimi tre giorni di gennaio divennero i più freddi.
A testimonianza di quanto sia antica la “leggenda della merla” si ritrovano numerosi esempi nella letteratura: nel Purgatorio, ad esempio, Dante Alighieri ne parla. Il sommo maestro cita la leggenda della merla, esattamente nel tredicesimo canto, in cui si incontrano gli invidiosi, coloro che hanno le palpebre cucite con il fil di ferro perché l’invidia dà una visione stravolta della realtà e pertanto chi ne soffre è come se fosse cieco. In questo canto una certa Sapia, senese, moglie di Ghinaldo Saracini signore di Castiglioncello, aveva tanto in odio i Ghibellini della sua città che quando questi persero nella battaglia di Colle di Val d’EIsa, manifestò pubblicamente la sua gioia malgrado essi fossero capitanati dal proprio nipote. Dante le mette in bocca queste parole:
Rotti fuor quivi e volti nelli amari
passi di fuga; e veggendo la cacca
letizia presi a tutte altre dispàri,
tanto ch’io volsi in su la faccia
gridando a Dio: “Ormai più non ti temo!”,
come fé il merlo per poca bonaccia.
(Dante, Purgatorio, XIII, vv.118-123)
Nel commento del Sapegno al canto degli invidiosi si fa riferimento alla novella del Sacchetti per la precisione la CXLIX in cui, parlando del merlo, è scritto:
Questo è un uccello che teme molto lo freddo e mal tempo, e quando è mal tempo sta appiattato, e come ritorna lo bono tempo esce fora e par che faccia beffe di tutti li altri, come si finge che dicesse nella faula di lui composta cioè: non ti temo, Domine, ché uscito son dal verno […] che già nel 300 la favola ed il motto erano già noti” per cui gli ultimi giorni di gennaio erano chiamati appunto della merla.
La tradizione contadina, grazie al contatto giornaliero con la natura, ha lasciato le conoscenze accumulate attraverso molte generazioni nei proverbi, che le sintetizzano. Naturalmente questi proverbi non sono da leggere come l'orario dei treni, ma con buon senso, sapendo che il più delle volte sono legati al luogo di origine. È vero anche che molto spesso i metereologi confermano quanto questi tre famosi giorni siano in realtà i più freddi dell’anno… e devo dire che anche quest’anno leggenda non mente.
Freddo. What else?
Fottuti giorni della merla!