lunedì 31 gennaio 2011

I giorni della merla: tra leggenda e letteratura


Nella tradizione popolare gli ultimi tre giorni di gennaio, 29-30-31, sono detti i “giorni della merla”. Il nome deriverebbe da una leggenda antica. Come ogni leggenda esistono diverse varianti ma io voglio proporre la più accreditata.

L’invidioso e vendicativo Gennaio –in origine di 28 giorni- perseguitava una povera merla e ogni anno trovava divertente aspettare che la merla uscisse dal nido per cercare cibo, e ricoprire la terra di freddo e gelo. La merla, stanca di questo vile comportamento, pensò bene, per una volta, a fine dicembre, di fare provviste per tutto il mese successivo, così da ritirarsi poi nel suo nido, in attesa che Gennaio finisse. Il 28 la merla, credendo di aver ingannato Gennaio, uscì dal nascondiglio e iniziò a cinguettare felice di aver beffato il mese dispettoso. L'offesa arrecata fu tale che il primo mese dell'anno chiese tre giorni in prestito a Febbraio e li utilizzò per scatenare bufere di neve, vento gelido e pioggia. La povera merla e i suoi pulcini, bianchi a simboleggiar il loro candore, si rifugiarono dentro un comignolo, dal quale emersero il 1° febbraio, tutti neri a causa della fuliggine. Così da quel giorno tutti i merli furono neri e gli ultimi tre giorni di gennaio divennero i più freddi.

A testimonianza di quanto sia antica la “leggenda della merla” si ritrovano numerosi esempi nella letteratura: nel Purgatorio, ad esempio, Dante Alighieri ne parla. Il sommo maestro cita la leggenda della merla, esattamente nel tredicesimo canto, in cui si incontrano gli invidiosi, coloro che hanno le palpebre cucite con il fil di ferro perché l’invidia dà una visione stravolta della realtà e pertanto chi ne soffre è come se fosse cieco. In questo canto una certa Sapia, senese, moglie di Ghinaldo Saracini signore di Castiglioncello, aveva tanto in odio i Ghibellini della sua città che quando questi persero nella battaglia di Colle di Val d’EIsa, manifestò pubblicamente la sua gioia malgrado essi fossero capitanati dal proprio nipote. Dante le mette in bocca queste parole:

Rotti fuor quivi e volti nelli amari
passi di fuga; e veggendo la cacca
letizia presi a tutte altre dispàri,
tanto ch’io volsi in su la faccia
gridando a Dio: “Ormai più non ti temo!”,
come fé il merlo per poca bonaccia.

(Dante, Purgatorio, XIII, vv.118-123)

Nel commento del Sapegno al canto degli invidiosi si fa riferimento alla novella del Sacchetti per la precisione la CXLIX in cui, parlando del merlo, è scritto:

Questo è un uccello che teme molto lo freddo e mal tempo, e quando è mal tempo sta appiattato, e come ritorna lo bono tempo esce fora e par che faccia beffe di tutti li altri, come si finge che dicesse nella faula di lui composta cioè: non ti temo, Domine, ché uscito son dal verno […] che già nel 300 la favola ed il motto erano già noti” per cui gli ultimi giorni di gennaio erano chiamati appunto della merla.

La tradizione contadina, grazie al contatto giornaliero con la natura, ha lasciato le conoscenze accumulate attraverso molte generazioni nei proverbi, che le sintetizzano. Naturalmente questi proverbi non sono da leggere come l'orario dei treni, ma con buon senso, sapendo che il più delle volte sono legati al luogo di origine. È vero anche che molto spesso i metereologi confermano quanto questi tre famosi giorni siano in realtà i più freddi dell’anno… e devo dire che anche quest’anno leggenda non mente. 

Freddo. What else? 
Fottuti giorni della merla!

sabato 1 gennaio 2011

Tra lacrime, gioie e sospiri: Addio 2010!

Chiudamo l'anno, va. Ci tocca!

PARIGI:
Il 2010 è stato l'anno del volo, in cui ho spiccato il volo... Il volo Forlì-Parigi ha segnato la mia vita. A Paris mi si sono aperte mille strade e ho capito cosa significhi vivere in una città stereotipata in cui tutti gli stereotipi vigenti si attivano: moda, amore, lavoro, chiccheria, mercatini delle pulci, locali gai, ballerine e croissant a tutte le ore. Parigi, luogo di liti, di sorprese, di cistiti e di grandi emozioni. Paris in cui l'unione con la Romagna mi ha fatto battere il cuore e mi ha dato l'amore, oltre a un momentaneo accento. Paris, j'adoRe e ti porto dentro... porto dentro te e tutte quelle sensazioni che tornan vive al semplice suono di alcune canzoni...

BOLOGNA:
Bologna, amante e puttana. Quanto ti ho odiata, quanto ti ho amata e, ora che ti ho persa, ti rimpiango e ti sento. Ho chiuso la parentesi universitaria. Mi sono laureata esattamente tre anni dopo, lo stesso giorno, il 12 novembre 2010 e Zanarini è stato il coronamento di anni difficili, ma formativi, in cui mi hai insegnato a vivere e mi hai circondata di fiori. I fiori raccolti nel 'giardino' della residenza di via Santo Stefano. Persone meravigliose, amiche, colleghi, volontari dell'ospedale. Se c'è un luogo in cui ho scoperto le mie potenzialità, è a casa tua,  Bologna. Sento che sei la mia città, la mia seconda, perché a un certo punto m'hai detto di andare, di continuare a volare e il BLQ-CT a 'tempo indeterminato' ha segnato una nuova fase di vita.

SICILIA:
Casa, dopo 6 anni, di nuovo a casa. Io credo che la difficoltà non stia nel partire, ma nel restare. Credo nelle potenzialità della mia terra e sono sicura che sotto questo strato di polvere, risieda tanta ricchezza. In tutti i miei viaggi ho portato con me il tuo sole e ho ricercato i profumi di un tempo passato che ora è tornato presente. Amo questa isola e i suoi isolani. Ecco perché ho scelto di atterrare qua.
Il mio 2011 è una sfida aperta con te, Sicilia. Realizzerò i miei obiettivi, qualora non ci riuscissi, il trolley è accanto a me, un berretto in testa, un biglietto in mano e si riparte... ma sono certa che tu, che sempre richiami i tuoi figliol prodighi al tuo cospetto, farai in modo ch'io resti.

2010, te ne vai. Lasci segni forti e poche certezze e quelle "certezze" ora voglio ringraziare:

Un grazie agli amici di sempre, a quelli di oggi, a quelli di ieri, a quelli che conoscerò domani.
La lezione di vita più forte? Sincerità ripaga sempre. 'Sii sincera, Ale, sempre' e così faccio ora. Non mi nascondo più dietro un dito e curo la mia esofagite, assieme al mio spirito ferito.Cerco la pace e la pace siete voi, tutte quelle persone che mi saziano costantemente con l'amore.
Un grazie alla mia famiglia, che è tutto.
Un grazie a Katia che mi protegge.

L'ultimo pensiero del 2010? Dopo aver conosciuto la morte, affermo con tutta la convinzione di cui sono capace che AMO LA VITA.
Addio 2010 e, tra lacrime, gioie e sospiri, GRAZIE.

PROSIT!

giovedì 30 dicembre 2010

Il caffé delle 3 (PM)

Per comprendere da cosa derivi una dipendenza, bisogna indagare nel nostro passato e scoprire a quale evento un atteggiamento vizioso possa risalire. Io di vizi ne ho tanti, ma uno solo è fondamentale: il caffé delle 3.

'Amore, sali in macchina, andiamo dalla zia!'
Andavamo dalla zia, la zia Maria, dove oltre ai biscottini  e a quelle deliziose torte che con amore cucinava, avvalendosi di quello strano robot che chiamavano 'bimbi' (e io mi chiedevo perché il robot che era uno lo chiamassero bimbi e io che ero una bimba non venivo chiamata bimbe!), ci aspettava una bella moca... che metteva sul fuoco, puntualmente dopo averla salutata.
Stranamente io non ero incantata da quelle meraviglie spolverate di zucchero a velo, ero sempre più attratta da quella miscela scura, dall'aroma di quella bevanda che si diffondeva per tutta la cucina e giù per le scale. Diffusosi il profumo di caffé, puntuale e immancabile, sbucava nonno dall'ingresso. Quel meraviglioso uomo che era mio nonno, e sorrideva, quasi a cercare il consenso per entrare e i suoi occhi birichini domandavano 'caffé'.
Il caffé, ecco cos'era, il caffé delle 3: quando la famiglia di mamma, ovvero sua sorella Maria, suo papà Carmelo e mia nonna Margherita -chi al tavolo, chi al divano, chi pretendendo una tazza, chi solo un goccino- si riunivano e tutti assieme bevevano il caffé.
Un giorno, allora, mi presi di coraggio e afferrai un lembo della gonna di mamma, le feci cenno... Volevo anch'io gustare quella prelibatezza che richiamava gente.

'Amore, sei troppo piccola, da grande berrai il caffé!'
Ma mamma era buona, e -dopo lunghi mesi di osservazione del rito- ebbi la mia conquista. Mamma mi concesse di raschiare col cucchiaino il fondo della tazzina, per assaggiare lo zucchero che giaceva, similincrostato. Era zucchero intriso di caffé.  Che gusto! Da allora andavo dalla zia, non per mangiare dolci, ma per 'rastrellare' granelli di zucchero al caffé.

Divenni adulta. Entrai nell'Olimpo dei grandi. Il mio battesimo? Quando anche a me spettò la famigerata tazza di caffé.
Quel caffé di cui oggi non posso a far a meno.

Quando, oggi, alle 3 sveglio mamma con la tazza di caffé, una sfilata di persone amate mi passa per la testa. Il caffé a casa della bella anima di mia zia Maria, i sorrisi sornioni di nonno Carmelo, gli acciacchi di nonna Margherita, e Katia, mia sorella, lei che il caffé lo preparava con amore... Perché voleva sostenermi negli studi, e allora si prodigava a farmene trovare una tazza fumante, ogni qual volta cercassi concentrazione...

Il caffé delle 3. Il caffé che mi fa rivivere momenti chiusi in un tempo felice e onirico, sensazioni di una vita vissuta, in cui l'amore lega ancora il passato al futuro, i morti ai vivi, la tristezza alla speranza, la scrittura alla memoria, in cui l'amore dà la gloria e vince tutto.
Il caffé, forse, non è un vizio: è un momento di riflessione, di benessere, di partecipazione.

mercoledì 29 dicembre 2010

Un'Occasione perduta, per un'Ossessione non voluta

Obiettivo del 2010: cambiare testa. Fail. Fake. Error del sistema.
Obiettivo del 2011: mantenere la stessa testa, ma capire gli errori e non perseverare.
Yes, we can.

E' sempre l'uomo sbagliato. Perché? Perché?! Perché forse sono io quella sbagliata.
E' moro, io lo voglio biondo. E' avvocato, io lo voglio medico. E' magro, a me piace pasciuto. Non veste bene, non conosce la Vuitton. Oddio, ha più marche lui di un testimonial Costantino style.  Ma cos'è? Cerchi  Cicciobello o un Uomo? Io cerco l'uomo. Non pare.

Non ne va mai bene una. Quando poi uno fisicamente si avvicina al tuo 'modello ideale' (ammesso e non concesso che tale modello esista), mi basta porgli due domande che vadano aldilà del 'come hai detto di chiamarti?' (Perché -si sa- quando conosci qualcuno, il secondo dopo ricordi tutto fuorché il nome dell'interlocutore). E allora sì che sono fruste e nasce la frustrazione: verbi che diventano pronominali per incanto, doppie che si triplicano, coniugazioni inventate, congiuntivi trasformati in condizionali e parole tirate fuori da un lessico televisivo che cozzano con le risposte che verosimilmente ti aspetteresti. E che faccio? Beviamoci su.

Poi, il sabato notte quando torni a casa, speri di prendere sonno subito (e in questi casi il tasso alcolico è un grande amico del sonno profondo), ma quei pochi secondi che intercorrono tra la chiusura degli occhi, il posizionamento della testa nel cuscino e la disconessione del cervello, sono fatali, anzi mortali. Spegni il cellulare e ti rendi conto che non puoi mandare sms al tuo uomo, perché l'uomo non ce l hai...e l'unico sms che vorresti mandare è meglio sopprimerlo, prima ancora di pensarlo, perché sarebbe un sms deprimente, da frustrata appunto, in cui finiresti per accrescere l'ego -già sproposito e sproporzionato- della persona sbagliata che ti piace. Spengo il cervello e domani è un altro giorno (di emicrania).

Io non so l'amore vero che sorriso ha, ma se c'è una cosa che mi fa incazzare (noblesse oblige) è trovare una persona che rispecchi i canoni della persona giusta: educato, brillante, high class, lovely (ovvero piacione), di spirito, di geometria, sensibile, dolce ma non sdolcinato, operativo e che farebbe al caso tuo. Passare bei momenti con lui, sentire il piacere di essere amabilmente corteggiata per poi salutarlo, sorridere come una ragazzina adolescente per una manciata di minuti, ma basta poco per rompere la magia. La bucolica rappresentazione della coppia felice viene facilmente distrutta da una faccina su fb, da una foto sul cellulare, da un pensiero costante che -tu stessa- ti rendi conto essere diventato un'ossessione. Che nervoso, però.

Come può un'ossessione rovinarti la vita, o per lo meno come può un'ossessione creare sbalzi umorali, degni di studio? Un'ossessione cui l'altro non ha contribuito ma è stata fomentata dalla mia testa sbagliata.
Un'amica (l'amicizia è fondamentale) m'ha rimproverato: concentrarmi su me stessa e ricercare la felicità. Se Sign. Ossessione mi rende felice 1 volte su 99 (in cui mi ingastrisce), che senso ha pensare di fondare una felicità su una sorta di 'gastrite vivente'. Ho paura di un bicchiere in più e di lasciarmi andare. Ma dai, che sono umana anch'io, per una volta potrei lasciarmi trasportare dalla voglia di dimenticare l'Ossessione e dal desiderio di rischiare, tentare, provare.

Una lunga digressione di cui razionalmente conosco la conclusione: ponderare e comprendere. Se amore chiama amore, ma il tuo amore è ricambiato da amicizia, allora lascia stare. (A volte, però, anche lui dovrebbe essere più chiaro.)

Proposito del 2011: rischiare. Rischiare ma non buttarsi a capofitto nelle situazioni, semplicemente fermarsi meno a riflettere, ma non agire per imminente passione: moderare. Perché per un treno che aspetti, un altro potrebbe passare o essere già passato. A quel punto altro che pensieri, riflessioni e Ossessioni, là avresti perso l'Occasione, quella della vita.

martedì 28 dicembre 2010

Occhi di bambina

Da bambina, quando avevo la febbre, tutte le attenzioni si concentravano su di me. Da similmoribonda -stile Piccole Donne, quasi a voler impersonare la Beth che giace sul letto in punto di morte- mi abbandonavo a un vorticoso turbinio di sensazioni forti e contrastanti: mal di testa febbrile, tonsille infiammate e l'amorevole sorriso di mamma. Mamma diventava, nella mia testa, la crocerossina dei cartoni animati. Certo, non era vestita di bianco, con una croce rossa sul cappello, ma era tanto bella. Mamma, quella donna dal sorriso rassicurante, che osservavo con gli occhi mezzi chiusi, mentre ero intenta a recitare la parte di eroica bimba straziata dal dolore, dolore provocato dall'innalzamento -appena di qualche linea- della temperatura corporea. I miei occhi arrossati e lucidi si rispecchiavano nei suoi, grandi e solari. Avvicinava le sue labbra alla mia fronte, mi sfiorava appena, e riuscivo a stento a percepire la delicatezza e il calore di quei due vellutati petali di rosa naturalmente inumditi; poi inaspettatemente si allontanava, sussurrandomi: 'Quando la febbre passerà, sarai più alta'.

Stupore.

La mia convalescenza era disturbata da un dubbio irrisolto: come avrebbe potuto la signora Febbre aumentare i cm del mio corpo? E il signor Termometro, lui, che strana relazione aveva col signor Metro del pediatra? Arcani dubbi che non trovavano risposta.

Una mattina, però, oramai abituata a questa malinconica e piacevole sofferenza chiamato malessere cui ero stata abbandonata, colpa di un destino avverso che gli adulti chiamavano 'colpo d'aria', mi svegliai e mamma mi disse: 'La febbre è passata'...
Questa notizia, che avevo aspettato per ore, da una parte rappresentò la mia libertà, dall'altra fu la tragedia. Niente più attenzioni, né mani in fronte, né matite e fogli sul letto per ingannare il tempo con gli amici immaginari. In compenso una certezza: ero più alta, il pigiama non avrebbe più strisciato sotto i piedi (pulendo casa). Era il momento di guardare il mondo da un'altra prospettiva, da un'altra altezza.
Tutta compiaciuta, come fossi tornata vincitrice dal campo di battaglia, lavata e profumata con i capelli morbidi di balsamo, scesi in ufficio, e feci un segno con la matita sul muro bianco.... Eh si, avevo guadagnato un centimetro! Che conquista... (un cm frutto della cotonatura dei miei capelli, ma non lo capivo.)

La magia stava nel mettermi dritta, davanti a mamma, e aspettare che lei mi dicesse ciò che il mio ego sventolava con i soli gesti del corpo:
'OHHH, QUANT'è ALTA LA MIA BIMBA!'

Non nascondo però che tornare nel luogo della 'battaglia', il mio letto, in cui avevo sudato e pianto e patito e vinto lo strazio della sofferenza fisica, era dura. Un giorno mi sdraiai, fissai il soffitto e col piede arrivai a toccare perfino la punta del letto (perche ovviamente la testa non era poggiata alla spalliera ma a metà letto, dettagli!). Così cominciai a temere. Una paura bloccò il mio speciale sviluppo febbrile: ' E se avessi avuto troppe febbri durante la mia vita, sarei diventata un gigante?' Oddio, non dovevo più ammalarmi. La paura mi fece coprire bene per tutta quella notte e le notti a seguire. Riuscì a godere del calduccio delle lenzuola e delle coperte che profumavano di ammorbidente e di caldo sole di Sicilia. Decisi di non incontrare più Signor Colpo d'aria, sebbene di tanto in tanto si preoccupasse lui di passare a farmi un 'saluto'.

La febbre e la mia crescita, che strana combinazione. Magia o maledizione? La magia di essere bimbi, la maledizione di crescere.

Il vento è girato!

Credo fermamente nell'Amore, si, nell'amore non corrisposto.
C'è sempre un motivo per cui la persona che tu ritieni giusta, in realtà non crede essere giusta per te. Viceversa, ci sarà una persona che si riterrà 'quella giusta' che, per qualche arcano motivo, tu non crederai esser la persona giusta. Facciamo il punto:
Se A ama B --> B non ama A.
Se  B ama A, invece, A sarà fottutamente preso da uno C (dove C sta per coglione) di turno.
Se C non ricambia i sentimenti di A, tre sono le ipotesi:
- C è attratto sessualemente da B
- C ti reputa una sorella (quindi non è attratto sessualmente da te, ovvero A)
- C ha i tuoi stessi gusti sessuali
Ecco che allora ti ritrovi, a mezzanotte, a 70 ore dal nuovo anno, a fare un resoconto sentimentale della tua vita, che forse avresti fatto meglio a non fare...perché la tua vita è come Berl... ehm, è come l'Italia: va a puttane!
La probabilità poi che tu possa trovare la famigerata persona giusta è inversamente proporzionale al tempus che fugit, ergo, più passa il tempo, più la probabilità diminuisce. Non solo, la probabilità diminuisce ma aumentano le pretese. Se prima eri disposta a scendere a 1000 compromessi, ieri a 500, oggi sarai a 100, e domani -invece- rifiuterai il compromesso, nascondendoti dietro un 'io sono così, amami se ci riesci!' ...e fu così che la coppia fallì. Coppia? Cos'è la coppia se ciclicamente mi viene la tachicardia pensando anche solo a una ipotetica coppia? A tal proposito, io faccio esperienza di tachicardia in due circostanze. La prima quando penso a me e al momento in cui sarò 'in coppia' e la seconda è quando penso alla persona sbagliata (che per me è quella giusta, a testimonianza di ciò l'aumento delle pulsazioni cardiache).
Nel primo caso, la tachicardia di coppia -che qui reputo negativa- è stemperata dalla consapevolezza di non essere in coppia. Facile.
Nel secondo caso, invece, la tachicardia positiva -che si manifesta al solo suono del suo nome, che qui indichiamo con C (dove C sta sempre per coglione di turno) - è bilanciata da un aumento del tasso di acidità, quando la bile decide di collaborare e produrre tutti i succhi gastrici di cui è capace... Fortunatamente a quel punto sciogli in bocca una bella pasticca di gaviscon.

Non lo so, è solo che sono sabbia. Se mi stringi, mi perdi. Se mi lasci libera nel tuo palmo, mi avrai... ma non cullarti di questo, se arriva la folata di vento, mi perderai. E forse si, ciò sta già accadendo. Il vento è girato.